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Una storia di alternanza

Qui è una studentessa di quarta di un liceo linguistico italiano. Oggi vorrei raccontarvi l'esperienza di alternanza scuola-lavoro che, battendo il dare volantini in mezzo ad una strada e il guardare dei video, si è posizionata decisamente al primo posto come più emozionante e formativa della mia breve ma intensa carriera.

Ci siamo radunati in palestra, perdendo tre ore di lezione, per stare seduti ed ascoltare persone che parlavano, che sarebbe, penso, il lavoro dei sogni di chiunque, se solo esistesse. Obietterete, giustamente, che magari alternanza significa non solo imparare a compiere un lavoro, ma pure sentire spiegazioni su come trovare un lavoro. Bene, dunque questo è lo scopo del nostro sedere per terra per due ore in posizioni propiziatrici della scoliosi.

A parlarci sono emissari della Bosch, che come scopo nella vita hanno quello di scovare giovani talenti per svolgere mansioni misteriose, fra cui l'unica del tutto chiara è quella di scovare a nostra volta altri giovani talenti tramite lo stesso progetto, che in pratica è una sorta di mostro che si autoalimenta creando posti di lavoro in sé stesso. La parte divertente è che questo si tratta, cito testualmente da un documento del sito istruzione.it, di “un progetto per contrastare la disoccupazione giovanile ideato da Bosch Italia”. Come se Bosch Italia non potesse contrastare la disoccupazione giovanile in altro modo. In pratica, i campioni dell'alternanza si redimono dall'imbarazzo di non creare posti di lavoro creando posti di alternanza per studenti non pagati.

Tra i relatori vi è anche Jack Sintini, campione italiano di pallavolo che è riuscito a sconfiggere il cancro, e che effettivamente è molto bravo e di grande ispirazione nel raccontarci la sua esperienza. Lo lascerò dunque fuori da ciò che sto per scrivere, anche perché, alternanza o meno, in giro c'è bisogno di storie come la sua.

Il problema è il resto delle due ore.

Prima di tutto, è ormai chiaro che ci sono una serie di concetti fondamentali che tristemente non rientrano nell'idea di “educazione al lavoro” dei “campioni dell'alternanza” scelti dal governo. In ordine sparso e velocemente: sindacati, diritti, solidarietà, equità, etica, pensiero critico, creatività. In due ore, nessuna di queste parole è stata pronunciata neanche una volta. Lol, come direbbe la me del 2010.

Altri concetti sono stati invece sottolineati accuratamente, ad esempio il problem solving, che è l'inglese per “saperti tirare fuori da ogni tipo di eventuali situazioni scomode se ti viene richiesto dal tuo capo”, e soprattutto la famosa “capacità di adattamento” richiesta ai giovani talenti di cui sopra. Illustrerò quest'ultima, per come l'ho capita, ricorrendo ad una metafora calcistica, dato che la stessa Bosch ha basato il progetto proprio sullo sport come metafora.

Mettiamo che voi siate un portiere, e che vi compri una squadra di calcio. Però non vi danno subito uno stipendio, prima dovete fare la riserva per qualche mese gratis, così accumulate esperienza. Poi, finalmente, iniziano a pagarvi ed entrate ufficialmente a far parte della squadra, almeno per i prossimi due anni. Se avete intenzione di mettere su famiglia forse vi conviene aspettare, perché non sapete se dopo avrete ancora uno stipendio. Se poi siete una donna, restare incinta è particolarmente rischioso per la vostra vita lavorativa. A questo punto iniziate a giocare in porta, ma può capitare che il centravanti si faccia male. La squadra non può permettersi di pagare una riserva, e così chiede a voi di fare il centravanti, magari senza smettere di fare il portiere. Confusi? Beh, aspettate che vi dicano che potreste effettivamente non essere assunti a tempo indeterminato, o che potreste esserlo, se solo non fosse problematico per voi andare a lavorare tre regioni più a nord di dove vivete. Ecco, siete lavoratori che si adattano. Dovete comportarvi così, per poter entrare a far parte di un'economia neoliberista ormai agonizzante, perché il vostro governo che si dice “di sinistra” non riesce a pensare oltre la punta del proprio naso.

Ma la parte più assurda non è questa, che è soltanto la realtà del mondo del lavoro.

Di fatto, per due ore ci viene ripetuto che per trovare un lavoro bisogna credere in sé stessi, saper cogliere le opportunità, avere voglia di fare. Il tutto termina con delle domande a cui veniamo entusiasticamente invitati a rispondere: “Qual è il nemico da combattere?” “La disoccupazione giovanile!” “E come si può vincere contro di essa?” “Allenandosi!”. Davvero. Allenandosi. La disoccupazione giovanile è al 40% e la risposta dei campioni del governo è “Allenatevi!”. Meno male che basta credere in sé stessi e allenarsi, allora. Probabilmente a tutti quelli che sono stati costretti a emigrare non lo ha detto nessuno.

Davvero, se questo è il genere di progetti che dovrebbe aiutare i liceali a “prendere contatto con la realtà del mondo del lavoro”, siam messi bene (da leggere con accento genovese).

Il problema è che manca una vera prospettiva sul futuro, una vera volontà di pensare a come il nostro sistema economico dovrà necessariamente cambiare perché le generazioni future possano vivere dignitosamente, perchè il capitalismo simpatico e il welfare idilliaco del boom economico non torneranno più, che ai governi della sinistra moderata piaccia o no. E di certo nulla di questo verrà pensato da una multinazionale.


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