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Alternanza scuola-che?

Con l'entrata in vigore della riforma della scuola voluta dal governo Renzi, e da esso definita “Buona scuola”, gli studenti delle scuole superiori italiane si sono trovati coinvolti nella cosiddetta “Alternanza scuola-lavoro”, che per i Licei consiste di 200 ore, da svolgere nel triennio. 200 ore di cosa? Questo è il dilemma. Trattandosi di scuola-lavoro, ed assolvendo già naturalmente ogni studente la parte riguardante la “scuola”, è chiaro che si tratta di lavoro, solo minorile e non pagato. Ok, forse non proprio lavoro allora. Stage? Non proprio, altrimenti, vista la passione dirompente del governo Renzi per le parole straniere, li avrebbero chiamati “Stage” e basta. L'idea sarebbe, pare, di combattere la disoccupazione giovanile facendo svolgere gratis ai liceali lavori per cui altrimenti bisognerebbe pagare qualcuno. Ok, non proprio. In pratica, si è riportata in auge una pratica che oggi, sempre per l'insana passione del governo per le parole straniere, si chiama “learning by doing”, e che nel Rinascimento si chiamava “apprendistato” e funzionava più o meno allo stesso modo: gli studenti vanno a lavorare presso aziende o enti di vario genere, dove in cambio del beneficio che questi ultimi traggono dal loro lavoro, imparano un mestiere. Ma che mestiere? Perchè se negli istituti tecnici e professionali gli studenti sono già chiaramente avviati verso determinate professioni, nei licei di fatto non si studia per essere in grado di lavorare dopo la maturità, o meglio, le conoscenze e competenze che si acquisiscono al liceo non bastano, da sole, per essere impiegate in un lavoro vero e proprio. Ergo, i liceali non possono fare apprendistato per impararne uno. Per far sì che essi siano in grado di lavorare usciti dal liceo, bisognerebbe ripensare seriamente la didattica, rendendola magari un po' più vicina alle esigenze del neoliberismo agonizzante, cosa non del tutto auspicabile. Questo non deve preoccuparci, comunque, perché il governo si è guardato bene dal modificare la didattica nella propria riforma, probabilmente temendo di prendersi effettivamente delle responsabilità nei confronti delle generazioni future, cosa andata evidentemente fuori moda da trent'anni a questa parte. Cosa fanno, quindi, gli studenti in alternanza? Più o meno qualunque cosa serva ad accumulare ore, a discrezione dei Presidi. C'è chi impila scatolette nei supermercati, chi dà volantini e indicazioni ai turisti, chi sta in un'acciaieria per otto ore al giorno, chi restaura statue di santi, chi descrive quadri ai ciechi, chi segue lezioni all'Università, insomma ogni scuola cerca come può di far accumulare ore ai propri studenti, e nel frattempo le aziende drizzano le orecchie e iniziano ad offrire posti di lavoro, pardon, alternanza, fiutando l'ovvia convenienza economica di tanti piccoli minions che lavorano gratis. Questa confusione che sembra un po' l'anticamera dello sfruttamento deriva dal fatto che il governo ha lanciato l'alternanza e ritirato la mano, dimenticandosi di spiegare quali debbano essere esattamente le modalità e di fornire tutti gli strumenti necessari per attuarla. Tutto ciò che ha prodotto sono i cosiddetti “campioni dell'alternanza”, 16 grandi aziende che hanno offerto alternanza per decine di migliaia di studenti in tutta Italia. Tra tutte, la nostra preferita è decisamente la McDonald's, paradigma della qualità del Made in Italy tanto millantata dal governo Renzi. Infine, che garanzie hanno gli studenti? L'alternanza, nuovissima, è anche scarsamente regolamentata: non è propriamente lavoro, o stage, il che apre dubbi su quale dovrebbe essere la legislazione di riferimento. Per di più, è priva di qualsiasi tipo di regolamento specifico. Questo significa che soltanto il buonsenso dei Presidi ha il potere di impedire che essa si trasformi in un'occasione di sfruttamento. Nulla garantisce che gli studenti svolgano effettivamente lavori inerenti al proprio corso di studi, o che le finalità pedagogiche dell'alternanza stessa vengano raggiunte. Chiaramente essa andrà sempre a beneficio delle aziende, che sono notoriamente poco inclini alla beneficenza, e dunque offriranno posti per l'alternanza sempre e solo traendone un ritorno economico. Ma come assicurarsi che questo guadagno per le aziende corrisponda ad una maturazione effettiva per gli studenti? E inoltre, che standard vogliamo rispettati dalle aziende in cui facciamo alternanza, dal punto di vista ambientale e sociale? E di nuovo, che garanzie abbiamo, se uno dei “campioni” del governo è la McDonald's? Stiamo davvero imparando il valore, l'importanza del lavoro, o soltanto ciò che in questo momento ci si aspetta dai giovani: estrema adattabilità, capacità di accettare scarse garanzie e precarietà, e nessun tipo di cultura sindacale o di coscienza per quanto riguarda i diritti dei lavoratori?


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